Muri fatti con le mani, muri aperti con gli occhi, muri costruiti dalle parole, girando per le strade della città ventosa tutto si consuma, che siano mani o che siano muri , che siano sguardi o siano voci.
Un muro è la sottile palpebra tra dentro e fuori. La possenza è solo l’apparenza. Il muro spolvera e si scompone; spolvera ossido ferroso e trascolora l’argilla, la pasta tra i mattoni si incurva e si assottiglia come levata da un dito affondato nella malta.
Levare mattoni e levare parole, aprire varchi e trovare lo spazio percettibile.
Quando si costruisce un muro, un solaio o si ammorsano due angoli, metti inizio alle tre dimensioni, regoli i fili e cali il piombo, batti i livelli e assesti la bolla. Allinei, tiri su e conti le file. Muri odiati dai panorami, muri impossibili all’esibizione, muri nascosti da verdi rampicanti, muri chiazzati di storie ammuffite e storie grattate da dita coltelli e punte. Muri sbriciolati dal vento che sposta ossidi, polvere, argille e storie dei calanchi, sale sudicio e corpi traspirati, sabbie e incisioni della luce di esposizione. Io mi blocco davanti ai muri, affondo il dito e grattando levo la malta che li tiene insieme, li sconnetto poco, togliere poco è sempre meglio che mettere troppo, il resto lo fa il vento che sposta ogni cosa. Il vento ha aperto una breccia, guardo dentro trovando intense e insieme piccole profondità. Il muro è un ordine regolato e ogni mancanza è una possibilità.