Ottobre ed è tempo di vendemmia, magari lontano dalle nostre case e dai nostri passi; si vendemmia in campagne mescolate con residui di città e tenute in piedi da mozziconi di “armacie” franate, lo scirocco è appiccicoso e le temperature d’agosto stoccano il vino nuovo e lo concedono già liquoroso. Ho cercato il palmento, quello con i mattoni sbrecciati, al suo posto ci hanno messo una palazzina ubriaca e già un po’ tumefatta. Ho chiesto agli abitanti che fine ha fatto tutto il materiale che c’era dentro: – delle botti non sanno niente, le travi di castagno le hanno bruciate, le damigiane con i cesti intrecciati le hanno vendute all’artista, quella che abita lì d’estate, la forestiera.-
– “Ottobre e’ tempo di vendemmia”, – così da anni legge e detta la maestra Busacca in tutte le scuole della nazione in cui si è spostata. Sono dei dettati pronunciati con enfasi, convinzione e rammarico. Così, ovunque nelle scuole primarie si celebra un’Italia contadina che già era lontana da me tanti anni fa, sconfitta oggi da fatti simulati e da Playstation, dalle Wi e dalle Tv, dai consumi, dai Tir e dall’istantaneità delle cose. I contadini, semmai ancora esistono, stanno al parco giochi o nei parchi attività; nelle fattorie didattiche hanno un loro ruolo, oppure stanno nell’azienda B&B e ti ospitano per una settimana tutto compreso. È tempo di vendemmia nei quaderni scolastici molto touch e nelle azioni motorie molto Wi.
Il vino non è popolare quanto i mojito delle serate danzanti delle maestre, ma ancora celebrandolo se ne parla. Del mio tempo di vendemmia ho visioni intermittenti, provengono da visite in campagne amiche, visite già all’epoca un po’ didattiche: vino, mosto, bolliture, “pappacini”, uve piccole brutte e nere, fermenti e acidità, strati melmosi dentro vasche di cocciopesto e macine avvitate su tronchi di castagno filettato. Pestare era solo la fine, raccogliere era il tempo di tutta la giornata. Saro e Alessandro che andavano su e giù, le sorelle gemelle Rosa e Pina,quelle basse e nere come l’uva, don Ciccio e sua moglie che stava sempre a mescolare; l’afflusso rapido di figure come apparizioni e di scomparsi come argomenti, gente a giornata, presa ad ore, venuta da colline lontane o dalle marine opposte. Di tutte queste persone non ricordo nessuna allegria ma solo una moderata energia per portare a termine le giornate della fatica e raccogliere poi il premio del buon mosto insieme ai denari. Il contatto tra la vendemmia e la città, tra le giornate sacre a Bacco e il ritorno dentro i condomini era il bottiglione di mosto bollito, una specie di melassa già ristretta e purificata dalla cenere dei sarmenti di vite, oppure a chi gli andava bene il giorno dopo, era il piatto del servizio di porcellana buono, quello già conzato di mostarda.
Il ruolo, l’importanza e lo status connaturavano il dono e la bellezza del piatto.
Dalla campagna alla città sono arrivati negli anni piatti di tutte le fogge, ceramiche e porcellane dipinte o smaltate, piatti smerlati e gentili, quelli dai contorni netti o queli variegati e dozzinali, i piatti piccoli da dolce o i tondi grandi quanto la mano allargata; per le famiglie numerose interi piatti da portata su cui ci stavano due mani.
Nel condominio di città, nel tempo di vendemmia, si era pronti a barattare piatti di mostarda da un piano all’altro, da una porta all’altra porta. Si osservava il tremolio del budino di vino , la consistenza e la trasparenza, la ricchezza della conza, le nocciole o le noci, il gheriglio sbucciato o quello tagliato. Si pontificava se l’agrume era candito o grattato acerbo col gusto amarognolo. Lo scambio dei piatti è un gioco libero ma con dei punti fermi, patto chiaro tra chi vuole le spezie e chi le evita, tra chi passa piatti impolverati dagli aromi di cannella in nuvole e chi afferra quelli con le scaglie intere di corteccia annegate nel rosso scuro del mosto. Ogni piatto è una famiglia, una promessa e un invito, un’esposizione ed un commiato. Un giorno sul buffet di nonna trovai tanti piatti di mostarda tutti differenti, sia per il colore dei bordi sia per quello del budino, contai i pezzi di un “servizio da vendemmia”: le settimane passavano e ciascun piatto veniva intaccato dal cucchiaio che raccoglieva la mostarda,e così ritrovava e scopriva i decori floreali dei piatti, l’ornamento all’inglese o quello alla francese. Tutti i piatti sparigliati stavano sul piano lungo in camera da pranzo: erano presenti tutte le famiglie con il loro piatto: la storia di un condominio in tempo di vendemmia non ricorda nessuna allegria particolare, ma solo una moderata energia nell’assaggio e poi dopo nel raccogliere ciascuno il proprio piatto, salutare e andare via.