Il bosco costruito è il mantello dei colli dietro di me, una morbida massa ondeggiata di cime e di chiome raggiunte dai tornanti delle strade. Nel bosco costruito fermi le parole sul ciglio della strada e guardi gli azzurri del mare che ti precipitano il fiato nei compluvi lasciandoti sospeso sul blu e sganciato nel nero grasso della terra torbosa, una terra senza passi calpestati, ma ricamata da migliaia di aghi di pino.
Il bosco costruito è un accadimento di cose perdute e di cose lavorate. Di semi gettati, di semi volanti e di semi deposti, di tagli violenti e cadute rovinose, di intrecci amorevoli e combustioni distruttive.
Il bosco costruito è una raccolta di progetti umani e di prefigurazioni lente di natura e di paesaggio del lavoro. Il bosco costruito è una massa voluminosa ma è anche un bordo morbido intorno alla città e ai villaggi.
Nel bosco puoi camminare sul bordo delle strade e dei sentieri, sul bordo delle selle e dei crinali, sul bordo delle ombre e dei panorami, sul bordo delle case forti e sul bordo delle case diroccate. Camminando sui bordi contratti sempre il tuo equilibrio con il precipizio, sfidi l’attrazione magnetica della terra e delle cose, posi con calma i passi, gli sguardi e le parole.
Prima di arrivare nel bosco ho camminato sui bordi diritti delle saie dei campi a valle, assalito dall’odore violento dei fiori di arancia cascati in terra misto al siero zuccherino dei fichi spappolati. Ho camminato sul bordo dei tornanti spinto dal profumo delle acacie, ho camminato sul bordo delle buche nei campi odorando la terra vangata, poi sono stato sul bordo delle vasche dei palmenti da cui risale ancora l’odore fermentato del mosto antico misto all’aroma delle carrubbe; ho camminato sul bordo delle gebbie dell’acqua dei campi annusando l’odore del muschio delle pareti e dell’acqua verdastra abitata dalle rane. Ho camminato sul bordo dei terrazzi quadrati con la pergola di zibibbo, ho camminato sul bordo di luoghi abbandonati e ho annusato il tempo della loro solitudine. Ho fatto camminare le mie dita sui bordi degli oggetti e mi sono fermato sul bordo delle bocche delle giare della salamoia, sui fianchi freschi del cono smaltato del bombolo dell’acqua, sul cerchio pieno del bavano, sull’apice stretto dell’orcio, sul bordo irregolare del cesto intrecciato.
Ogni passeggiata sul bordo delle costruzioni e ogni scorrimento delle dita sulle forme delle cose è una limitatio rituale delle memorie e degli odori, un’azione di perimetro che conclude una geometria assoluta, una misura della dismissione e del principio.
Nel bosco ci arrivi bordando le curve delle colline e introfulando lo sguardo dentro i sentieri mentre i bordi di cielo si staccano dal bordo degli alberi. Quasi in cima il bosco cambia, sale la strada e sali tu, cambia il fiato e anche i rami, cambiano gli odori e cambia la costruzione.
Nel bosco ho incontrato delle fosse misteriose ed ho camminato sui loro bordi, ho guardato giù e quegli strani crateri sono ancora foderati di pietra, sono l’inversione improvvisa della linea della terra, sono la mancanza, sono la terra sottratta e foderata di conci. Sono crateri ma erano le neviere dei colli, luoghi inversi dove si conservava la neve e il nevischio schiacciato sotto le felci e la terra; la neve si prelevava poi nella stagione calda per portarla nella città di mare, quei buchi sono un paesaggio del lavoro climatico, un caveau del prezioso fresco che aveva il compito di gelare il succo dei limoni diluito con lo zucchero e farne granite per gli abitanti di città.
Camminando sul bordo del cratere si osserva un lavoro umano dissolto come la sua stessa materia e merce, dissolto il gelo, dissolto il lavoro e dissolto persino l’odore della neve. C’è il bordo tra due cose che adesso hanno lo stesso odore del bosco.