Di giorno aumenta lo spessore del caldo, di sera si sposta l’odore del gelsomino, domani si morderà il sapore del pane, adesso si guarda la freschezza dell’ombra.
Sensi seri, sensi distratti, tavole dure da scorticare, la mano sfiora tutto quello che trova e poi affonda nell’acqua raccolta, scuote l’acqua, la prende in pugno e la butta via.
Vago tra questi gesti: colpevole è il caldo che rallenta le azioni e le rende esatte.
Le terrazze sono piazze singolari, sono stanze senza tetto, sono balaustre per le braccia, sono attese della notte e pause grevi della giornata che brucia; le terrazze proiettano raggi domestici, repertori d’arredo, panni stesi, briciole, pistacchi e bicchieri di vino dolce; le terrazze sono degli aggettivi determinativi per le cose quotidiane. Sono stati di luogo e stati dell’animo.
Le terrazze sono orti botanici portatili, concimaie, contenitori d’insetti, vasi rotti e sedie libere, sono i cuori aperti delle case esposti in quel punto sospeso ogni giorno tra la terra e il suo cielo; sono fatte dal rimbalzo continuo del mare un giorno steso sull’orizzonte e poi l’altro corrugato sulle creste delle onde.
Le terrazze sono prosecuzioni di stanze che chiudono le porte, stanno affacciate sulle corti e sulle strade e guardano i tetti più bassi; sono saloni per l’estate e per i balli illuminati, guardano te che arrivi e tutti quelli che vanno, avvistano con sorpresa gli uccelli, la salita e la discesa del sole, le lune bianche e le linee stellari, sono camere ottiche e cinema di nuvole, mentre sono disegnate dai giavellotti dei passaggi degli aerei.
Le terrazze sono case vuote e abbandonate, planimetrie deserte e porte sbarrate, raccolgono tutte le piogge che possono mentre cedono il calore accumulato, luoghi esposti ma sollevati, aspettano lo sguardo e da quello si difendono, sentono e vedono i corpi organici e inorganici della città, si posizionano e cercano di capire come le cose sono fatte. Vedono il manto costruito che copre la terra: è rappezzato, stracciato, tessuto, scucito, liso, rammendato, sovrapposto, ricamato, intrecciato. I fili del manto sono impunture di corpi variabili riconoscibili e anche confusi, di ogni tipo e ogni forma. Corpi inestetici, corpi scolpiti, corpi erosi, corpi deformati, corpi frantumati, corpi incisi, la terrazza è una piazza singolare che sottopone qualsiasi con-figurazione alle azioni dello sguardo, i corpi si ripresentano all’intelligenza del vedere “alterati” dalla vitalità porosa e permeabile delle costruzioni, da lontano ogni parte spugnosa è capace di rissorbire la ferita originaria e ricostruirsi nella relazione tra l’edificazione la vita e la città,
I corpi hanno spessore come il caldo che aumenta, protetti dalla vicinanza reciproca, lo sguardo affonda nella città, scuote lo spazio, lo prende in pugno e fra le dita incomprensibilmente scivola via.