la potenza dismessa di cariddi

Immagine

Oggi è solo un’ossatura dello spazio, un abbraccio timido alle relazioni umane che si inventano e muoiono nei passaggi di stagione, un perimetro schematico per camminare, un volume sfondato dal paesaggio potente e dalle migrazioni delle nuvole.

I capannoni issati a filo di ferro stanno lì come hangar nudi sulla spiaggia di cariddi, hangar svuotati di tutto e riempiti di nuvole. Sono capannoni di un cantiere morto più di quarant’anni fa dopo aver ammarato modernità navali, aliscafi inventati per vincere l’inerzia voluttuosa della storia dei mari, costruiti per planare coprendo coi rumori meccanici e le sirene dei turni i suoni dei gorghi e delle sirene immaginifiche.

Lo svuotamento è stato  un caso del tempo, una sottrazione di elementi di parti e di attività; resta adesso l’ossatura metallica che ha costruito l’immagine di quel luogo più del pieno e della solidità, la forma scarnificata dello spazio definisce la possibilità delle avventure e prefigura un uso; lo svuotameento del corpo costruito di solito genera assenza, poi accade per delle variabili umane che si ribalta l’effetto rendendo il vuoto presenza. Strutturando le qualità del vuoto si asciugano tutte le complessità interne fatte dagli strati o dalle densità; il  vuoto assoluto è riempito di  vite  e di nuove produzioni,di affermazioni e rifiuti mentre   Il valore dell’internità è un lampo contraddittorio di una casa senza tetto e di una fabbrica senza pareti. La forza estetica e linguistica approda alla superficie impalpabile e incosistente, il limite esterno senza pelle diventa la narrazione unica che accoglie e riverbera tutte le suggestioni urbane e ambientali. Nel vuoto interno  le vite e i corpi si incrociano senza riparo, l’altalena che oscilla dalle funi batti un  tempo e insegue le spinte delle correnti dei due mari dello stretto.  Io me ne vado piano senza far rumore, lentamente socchiudo gli occhi.

Immagine

Modernità destate

(la foto è di Margherita Serboli)

Scorre il tempo dell’estate e delle altre tre stagioni. Un tempo speso e sospeso nelle cose costruite, abbandonato al divertimento logorante di un lido, alla figura solida di un oggetto funzionale. Misuro ancora la differenza tra il passo bambino e l’altezza importante e costruita del Prisma Misterioso. Conto i passi tra la strada delle macchine e quella libera della citta’ della spiaggia, un’altra città con le sue piazze e con le sue strade e tutte quelle  porte ravvicinate degli spogliatoi ad ore.   Mi rivedo piccolo ma libero mentre mi orientavo col prisma bianco e le sue ombre, oggi lo vedo rigato dalle piogge degli anni e piagato dalla vecchiaia del cemento armato, ma oggi sono grande. Quella clessidra di cemento per me è stata rigirata quarantasette volte e la sua dimensione decisa conserva ancora  la distanza dal mio corpo. Ogni flusso del tempo non ha spezzato quel restringimento labile e sottile posto al punto mediano e che osservavo con gli occhi bambini e meravigliati. Ero bambino e vivevo una modernità. Ero dentro plastiche moplain e mangidischi arancioni,  le immagini scorrevano a casa tra gli allunaggi ed A come Andromeda, guizzavano e lampeggiavano  tra i troppi semafori  che incontravamo dalla città fino ai lidi nord, si fermavano scioccate sui finestrini arroventati dell’estate, poi ritornavano in forma liquida e riprendevano  concretezza plastica  nelle ombre seghettate e nelle torsioni dei pilastri del Lido.   Le immagini della modernità di quel bambino  fluivano nella tv di Gamma, tra gli Ufo e  le tutine nere dei balletti incomprensibili alla nonna, ed erano quelle cittadelle dello sguazzo e del rumore in cui persino la forma  di un serbatoio d’acqua silenzioso e assoluto ingannava il futuro con la metafisica di un bagno misterioso. I bambini balneari di quest’agosto hanno perso l’immagine di quella modernità, la suggestione è rimasta scioccata dall’indefinito pastone edilizio e dal  lampeggio  atonale che scorre nei tredici  km di costa dalla citta’ al lido del Tirreno. Così con gli occhi  il bambino gioca all’archeologia della modernità.