In estate abito al Faro (il villaggio è Torre Faro, Capo Peloro, o naturalisticamente Pantano piccolo), questo villaggio non più villaggio è una conosciuta località marina dei messinesi, indissolubile idea territoriale e identitaria tra chi è nato nell’area dello stretto, di chi sa e di chi conosce la città e anche terra di limite che si affaccia sui due mari jonio e tirreno.
Abitando e dormendo in questa casa non mia ma di famiglia, nel tempo ho cominciato a rispettare altrui oggetti d’affezione. M’imbatto in una popolazione d’insetti e di gechi, in uno spazio botanico ricco di agavi esuberanti e ibiscus centenari, oleandri ipertrofici , varie e sempre nuove erbacce, di formiche escavatrici e coleotteri scuri. Ma il posto è soprattutto popolato da queste nuove speciali Zanzare, le Tigri del Faro.
Se accendo la luce le sveglio tutte; e così destate di notte, le zanzare babbe lentamente si spostano nell’aria lasciando dormire quelle Tigre. Le zanzare Tigre hanno danzato persistentemente nel pomeriggio malgrado i presìdi elettrici velenosi, malgrado spirali omicide dai vapori letali e chiamate per sempre Zampironi a dispetto di qualsiasi altro sofisticato nome commerciale.
Io non ricevo i pizzichi fastidiosi delle Tigri del Faro, indolente attraverso i loro voli irrazionali in giardino e così, senza la distrazione fastidiosa della puntura, intercetto tutti vapori nebulizzati da finestre vicine e dalle combustioni familiari sparse sui piatti di vecchie porcellane collocati letteralmente tra i piedi e sotto i tavoli.
Se la memoria dell’olfatto non m’inganna, quell’odore insano dello Zampirone mi accompagna da sempre e si miscela in un unico grande odore che frigge le melanzane all’ora di pranzo, stacca il basilico a foglia piccola, gratta il caffè diventato granita dentro le vaschette d’alluminio e spalma il latte solare denso sulla pelle di un bambino; lo Zampirone acceso dall’unica fuochista abilitata, cioè una nonna combattente con le formiche e le zanzare. Ora sono grande, la nonna non c’è più, in quest’altro luogo l’odore di Zampirone permane uguale a dispetto degli altri odori quasi tutto scomparsi o ridotti di grado, altre donne sono adesso le fuochiste.
Adesso Le zanzare babbe sono quasi tutte sostituite da quelle Tigri, in un paesaggio non più chiaro, in cui i campi si sono edificati e schizzati di case. Case sparse in tutte le direzioni nelle terre dei cocomeri,delle zucche e delle viti coltivate alla greca, con quei mozziconi di pianta affondate in quei campi sabbiosi. I vitigni scuri e a volte avvizziti assomigliano ai pali ramificati conficcati dai bambini sulla marina per giocare al pallone. Terre e mari, vegetazioni e trame di stradine interpoderali uniscono il pantano e i campi e alludono a ciò che c’era in prossimità del mare dei campi e dei pantani. Se m’incammino con la bici attraverso la campagna e quelle vinelle, non trovo né cocomeri né vigne, vedo qualche traccia fossile di agricoltura, uno o due fichi, cumuli di rovi, apparenti piantagioni d’infestanti canneti; riconosco alcuni odori che derivano dalla foglia di fico al sole delle due del pomeriggio, vaghe suggestioni d’olfatto provenienti dalle fermentazioni di alcuni grappoli d’uva caduti e inghiottiti dalle sabbie mobilissime. Nessun canale ha avuto rispetto, nessuna trama dei canali d’acqua carica più sulle barche cocomeri e frutta da portare dal Faro agli altri villaggi marini della Pace della Contemplazione e del Paradiso. Nè cozze appese ai tralicci di legno, né altro al momento, ma solo galleggianti in polietilene.
La Zanzara Tigre si sbilancia e s’impone regina in un sistema naturale un po’ avvilito e in cui quella sua parente babba non può più esistere. Così, La Tigre del Faro affronta spruzzi letali e ipotesi di aereiformi diffusi dal cielo e inoculati dal basso. Guerre organizzate e duelli all’arma bianca, tra schiacciamenti cruenti e macchie rosse, fin adesso la Tigre domina la situazione e resiste, si riempie di sangue e urtica le pelli ricettive.
Quando non voglio sentire l’odore delle armi chimiche contro la Zanzara Tigre mi sposto al mare e scivolo in un apparente limbo olfattivo, dall’interno del Faro mi sposto sulle sue marine.
Mi fermo al Capo che qui per tutti è la Punta. Ci penso e non mi sembra perfettamente descrittivo né il toponimo di Capo né quello di Punta, lì è solo una curva debole tra due mari e una morbida “girata” che ti fa passare tra lo Jonio e il Tirreno. Né lingua acuminata come farebbe pensare la punta, né solido e stabile capo come la dirimpettaia rocca di Scilla, quanto piuttosto mutevole e sabbioso litorale con sacche d’acqua naturali impantanate in una laguna urbanizzata, regolato dall’incessante montare e discendere delle correnti.
Alla Punta dentro i cassoni di giunco per la costruzione del nuovo sistema dunale del capo, ci è finito di tutto, memorie artificiali e memorie rifiutate, sporcizie e monnezza, sabbie, lattine, bottiglie e terra. Alla Punta hanno circondato il traliccio Enel generato dal priapismo tecnologico degli anni 60 con un debole anello di terre armate che vorrebbe celare la croce in cemento del basamento di fondazione. L’anello di re-nature della costa è fatto ma nessun impatto è stato ridotto. Il suo spalto inclinato ha invece sollecitato la creatività del parking degli happy parassiti del lido, così le loro automobiline piazzate in alto scintillano al sole. Lì sui due mari non sembra ci siano le zanzare Tigri, ma altre tigri umane avanzano e si apprestano a voli irrazionali e fastidiosi, pungono e prudono, prediligono emanare loro stesse segnali olfattivi di unguenti oleosi, le Tigri della sabbia hanno lavorato sui loro corpi per varie stagioni, hanno completato i risultati visibili dei muscoli con barrette proteiche e bevande miracolose. Le Tigri della sabbia hanno sempre occhiali da sole curvati, sguardi custoditi in bolle scure, si sollevano in volo brevemente e per di più sostano. Le Tigri del Faro destate di notte, ballano, e si muovono su auto small luxury, sibilano sulle mini cooper e risucchiano gli spostamenti dentro le candide 500, le più vecchie e fuori moda ancora si ostinano sulle colorate bratte-Smart, non sai spesso neanche il sesso perché ne possiedono solo i caratteri secondari, non hanno età e se la hanno la possono cambiare fermare e invertire, queste zanzare hanno labbra paralizzate da punture estetiche e tette marmoree su corpi non sempre all’altezza. Ventresche tartarugate maschili assemblate con facce rugate e incise. Si radunano sui lettini dei lidi, velenosissime altre zanzare loro amiche le baciano con la bocca stretta e la parlata larga, le scansionano con lo sguardo in tutte le debolezze delle loro chirurgie plastiche, tutti pensano che quel fiore si è appassito e la paresi labiale è irrecuperabile ma nessuno lo dice, perché in questa sabbia la meraviglia non è concessa: “- potrebbe capitare anche te!” Ero sfuggito alle Tigri nel mio giardino e ai vapori interclassisti dello Zampirone, mi sono ritrovato sulle sabbie, e guardando queste Tigri del Faro sulla marina, mi viene in mente lo slang creativo dell’ottantacinquenne “Giuanna”, figura scomparsa di questa casa del Faro, presenza familiare in ruolo di tata, governante e badante delle cose, delle persone e delle virtù.
Forse “Giuanna” al Faro guardando le Tigri della sabbia avrebbe esclamato con il suo parlare unico, meticcio e innovativo divenuto leggenda familiare: “Fozza trrasemu i seggi Dry, quanti bbestie ci sunnu oggi, ora ci Diddittio na picca e cosi Rifriscamu st’astate”
Che liberamente tradotto è:
Suvvia rientriamo in casa le sedie sdraio, quante fastidiose zanzare ci sono oggi, e’ meglio spruzzare un po di spray antizanzare (D.D.T.) e cosi ci liberiamo definitivamente traendone un discreto beneficio quest’estate.