Le forme autorganizzate nel cielo appaiono nella mia ossessione per le nuvole, poi negli strati di calore che cambiano la luce, nei movimenti e nelle densità del cielo, nei passaggi di chi va e chi viene. Il cielo come in uno specchio impreciso e fuori fuoco insegue i movimenti delle correnti sotto lo Stretto; sotto o sopra che sia, tutto si muove e trascina gli occhi all’inseguimento delle forme.
Nei tempi di migrazioni si guardano gli stormi d’uccelli sopra lo Stretto, sono tanti e rumorosi, cambia la temperatura e cambia la loro vita. Cambiano le forme occupando spazio e liberandolo. Un minuto di densità e dopo pochi secondi la dispersione. I comportamenti biologici sono strani, illudono gli occhi, cantano qualche nota e si fanno massa veloce, poi un silenzio sincronizzato e la massa precipita spaccandosi in fronti diversi aprendo nuove strade e ritornando .
Come in una massa di umani visti dall’alto, quei movimenti e comportamenti, quelle decisioni collettive, si basano su semplici regole di coordinazione locale (“auto-organizzazione”) che si estendono poi a tutto il gruppo come in una reazione a catena continua. Individui che agiscono interagendo per piccolisimi numeri e per somiglianza, gruppi di prossimità, di vicinato. Piccole regole e comportamenti che parlano di coesione sociale, quella che diminuisce all’allontanarsi dalla distanza ottimale, quella per cui i soggetti possono conoscersi e possono essere informati della gioia o della rabbia dei loro vicini. Quante rivolte e quante azioni nel cielo, mossi e compatti sfuggono alle cariche dei predatori concedendo agli umani disegni e forme, masse murarie, volumi voltati, catini di cupole, flessi e foglie d’acanto. Però sono solo forme auto organizzate o come dice la piccola più realista e poetica del padre – “Sembra pepe nell’aria.”