Uno svincolo a caso

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Cara signora M.

Ho sempre guardato con meraviglia i disegni delle strade quando inseguono le forme della natura e del terreno, quando attraversano valli e fiumi o raggiungono le vette dei colli arrotolandosi in curva. La mia personale meraviglia continua anche quando le strade si posano aliene sui terreni, rette perentorie e griglie indifferenti; la sorpresa rimane, quando si mostrano cordiali e affettuose con il territorio o audaci protagoniste di penetrazioni della montagna.

Sono luoghi di marcia le strade: avanzando s’incontrano città, persone, animali, oggetti, lampi di sguardi, paesaggi, nature e radure. Nella marcia ci sono dei punti notevoli: a volte incroci, trivi e quadrivi, punti custoditi da Dei, Pietre, croci e segnali. Poi alla meraviglia delle strade subentrò quella delle autostrade, ingegnoso lemma e progetto italiano di Pietro Puricelli ingegnere classe 1922.

Ai trivi e quadrivi si aggiunse la bellezza degli svincoli, vie di uscita e nuove porte delle città, roteanti collegamenti per sfuggire e per diluire la città o per immettersi nella densità urbana.

Lo svincolo che vede è quello di Messina Boccetta in costruzione, non so darle la data esatta ma era il 1969 e avevo quattro anni quando la veronese Technital Spa comincio’ a costruire il tratto urbano della autostrada A20 e poi quasi sette anni quando intorno al ‘72 feci il mio primo viaggio fino a Villafranca Tirrena. Ricordo quanto timore avevo all’idea di viaggiare sull’alto viadotto che vedevo crescere dal basso, lo feci imboccando quello svincolo ombreggiato dal reticolo strutturale in cemento armato.

Gli svincoli mi sono sempre piaciuti per la loro geometrica potenza, per la presunta oggettività e per l’apparenza organica e floreale. Momento calligrafico dell’ingegnere che appone lettere d’alfabeto alle lunghe righe stradali, sigle di aggraziati sigilli, quadrifogli, pance di otto e sibili di esse. Come un ragazzino m’illudo di rivedere la mia vecchia pista Polistil e le sue curve paraboliche, inseguo con gli occhi gli sbandamenti e infine mi fermo su una costruzione racchiusa in un recinto sacro quasi fosse un tempio a Hestia e Hermes. Non è nulla di sacro, in verità è solo un edificio per amministrare l’autostrada che sta lì in una foto, parte di un disegno della tecnica eppure non privo di una qualche poesia.

Nell’immettersi in autostrada e nella manovra di accelerazione non le sfuggano i miei

D’istanti saluti.

Luciano Marabello