Quella Lavagna è stata un Sabir: uno scritto in Post Lapis
Sorgente: Quella Lavagna è stata un Sabir: uno scritto in Post Lapis
Quella Lavagna è stata un Sabir: uno scritto in Post Lapis
Sorgente: Quella Lavagna è stata un Sabir: uno scritto in Post Lapis
“Se ti sabir
ti respondir,
se non sabir
tazir, tazir.”
Le Bourgeois Gentilhomme, Molière
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Una Lavagna Pubblica per quattro giorni , dal 6 al 9 ottobre 2016 , ha animato lo spazio centrale della Galleria Vittorio Emanuele durante il Sabir Fest di Messina. Non solo lunghissimi banchi ricoperti di libri, dove scoprire letture, sfogliare o comprare ma anche una costruzione, passage e facciata dello spazio libreria, immaginata come una Lavagna per tutti.
Quella lavagna in quattro giorni è diventata un punto di sosta per disegnatori occasionali e invitati, un punto di osservazione per passanti e visitatori; alla fine, tra segni colti e sofisticati, cuoricini e margherite, tag veraci, facce, occhi e firme compulsive come quelle sul diario di uno studente, la superficie nera delle facce del parallelepipedo si è ricoperta di scritture oltre ogni limite e fuori dagli stessi bordi. In quei giorni quella lavagna è diventata un testo in Sabir: in un miscuglio di segni, parole e forme disegnate, si è realizzato come testo in una temporanea lingua franca necessaria per la variegata popolazione urbana che ha invaso per quattro giorni e quattro notti la Galleria.
La lavagna nerissima ha fatto da parete ad un parallelepipedo con all’interno una galleria bianchissima, uno spazio di passaggio dove esporre le fotografie e le immagini degli Instagrammers chiamati ad un contest fotografico. Quello spazio raccolto ha misurato nove metri di passi e sguardi, nel bianco assoluto sono apparse 16 foto quadrate di Martha Micali, Gerri Gambino, Davide Scimone e Luciano Marabello, livide, acide o bianche e nere, intense come frammenti di città e di persone precipitate nel vuoto delle nostra memoria quotidiana. Sulle facce interne del tunnel una parete ha raccolto una progressione di instanti, di frames di instagram connessi a forza da un Hashtag e riapparsi lì in materia cartacea. Ogni frame è stato esaustivo ma anche incompleto, raccontando l’esperienza di una mostra in progressione che ha raccolto il flusso giornaliero degli scatti sul web sul tema dei vuoti di memoria.
La lavagna fatta di due parti , aveva la più piccola dedicata agli invitati per la sezione ”Disegno alla Lavagna” e poi la lunga lavagna di sei metri pronta a diventare supporto pubblico e memoria semplice per un Ri-conosciuto oggetto comune e di affezione.
Per “Disegno alla lavagna” quattro inviti e un fuoriprogramma. Quattro orari d’inizio e quattro orari di cancellazione.
Ha aperto Michela De Domenico, rielaborando una storia di migrazione, una tavola di viaggio, sguardi e corpi e ricamando un sistema connettivo attraverso una texture che da manta e scialle si fa cartografia o forse rotta e carta nautica. Il disegno ha conquistato subito la lavagna e l’attenzione del pubblico;
il giorno dopo è giunto implacabile l’invito alla cancellazione per far disegnare Nicolò Amato in (NessuNettuno), la trama infinita del giorno prima lascia il posto al segno bianco in cui faccia, corpo, paesaggio si saldano e scrivono un’astrazione narrativa sintetica, in un segno ideogrammatico, mentre dal mare riemerge l’immancabile coda di un cetaceo e la scritta Andiamo al Mare.
il disegno scritto e riscritto da avventori anomimi dopo 24 ore è stato cancellato e dentro le ferree regole del quadro prospettico, quelle del bordo, del punto di fuga e del punto di vista è apparso il disegno di Roberto Miroddi, porzioni di corpi e facce talmente chiare e segnate dal tratto continuo e riassunto da comparire sospese come apparizioni veloci e lampi nello spazio prospettico classico rielaborato. Figure arcaiche e isolate si stagliano in una prospettiva strettissima e deserta.
La serata conclusiva è quella in cui la più giovane Olga Gurgone ha passato decisa la spugna su tutto e così sul nero riapparso vergine, ha proposto con piglio politico un disegno di due creature fumettistiche con occhi grandi quanto quattro lune piene, due donne, una d’occidente e una d’oriente, due vendite di corpi, due mercificazioni; la lavagna sembra dire al megafono che il disegno è sempre un atto politico, non solo per il tema specifico ma che è tale quando questo avviene o si dispone nello spazio pubblico.
Nella serata finale la lavagna era piena,densa e debordante di segni, sconosciuti o quasi conosciuti cercavano porzioni di lavagna da disegnare, la disegnavano intorno, dietro, davanti, sotto traccia. Poi passò di lì come un giusto fuoriprogramma Manuela Caruso, in arte Polly Mos, in arte Ma.Ca, accade che cercando spazio per lei , troviamo due piccole lavagne doppie poggiate sulle testate dei banconi. Lei guarda, le interroga e cosa accade? Appaiono due teste classiche con la forza veloce quasi post-impressionista del gessetto , ecco nei tratti due concittadini di sempre, forse Mata e forse Grifone
che si guardano da un banco all’altro e sussurrano soffiando le lettere della parola Sabir. Sbirciando tra le due teste e tra il dissolversi delle parole, le apparizioni dei segni dell’ultimo minuto di Takwa ben Mohamed o le tante lavagne autografe e anonime , mentre risuona forte un Sabir in Post Lapis.
Grazie a: Marco Lo Curzio, Enrica Carnazza per le segnalazioni e le proposte; grazie agli artisti, ai passanti, ai bambini, ai di/segnatori e di/sognatori.