La condizione elementare del corpo edilizio demolito o in corso di demolizione è quella di essere inospitale, di non poter offrire riparo, di non essere piu utilizzabile.
C’è un risultato imprevisto nell’attesa della tabula rasa e nella furia che accelera le demolizioni in quel luogo di Messina chiamato Maregrosso.
Sì, è un capannone banale, sicuramete degradato e incongruo sul bel paesaggio dello Stetto, ma la furia martellante delle ruspe lo consegna per poche ore in una condizione nuova e impropria. E’ poco prima del collasso, è ferito, è mancante, è un corpo edilizio contraddittorio: rivela la vita della sua internità ma sta per morire.
Potrebbe essere una guerra ma quello spazio anonimo è soprendentemente trafitto dal paesaggio, sfondato dai venti dello Stretto e da quel maregrosso che dà il nome al quartiere.
E’ un foro esplorativo e rivelatore quanto un buco edilizio di Gordon Matta Clark in cui si rivela non la promessa dell’architettura quanto il suo fallimento; è poetico e cruento come il corpo di Gina Pane oltrepassato e trafitto dalle spine di rosa; un corpo morente è rianimato dal soffio vitale che proviene dall’esterno, è un inizio per chi progetta, è una trans/forma di pochi istanti, ma da lì a poco si azzererà tutto e nessun vento o corrente dello stretto soffierà nella scatola muraria trafitta: sarà solo Maregrosso.