Erano dei Mille, e (andando a piedi) sono morti

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Ci sono MILLE motivi per migliorare le città e Mille motivi per fare le isole pedonali ma in via dei Mille non ci sono né Mille vetrine né Mille valide ragioni per centralizzare la questione della pedonalizzazione e riassumere ad emblema o peggio ad ideologia l’uso di quella via.

Quella via in questi ultimi  anni è stata presentata come se fosse la strada più giusta, più importante, più bella o significativa della città, o peggio la migliore o la più strategica nella costruzione di una nuova  vita pedonale dei cittadini di Messina.

Mille contenziosi e mille partiti presi, mille persone e mille ipotesi e parole, tutte le vicende che hanno accompagnato i tentativi, i fallimenti, gli imperi, gli improperi e le prese d’atto intorno all’isola pedonale di via dei Mille dovrebbero far ragionare per mettere a punto una strategia di  progettazione concreta e razionale per pedonalizzare parti sensate della città di Messina.

 

Nel “patto della strada” si sono associati e hanno trattato  le parti sociali in campo, i portatori d’interesse e di governo; molti cittadini hanno apprezzato, criticato, osannato, disprezzato queste sperimentazioni. Questo processo morto e resuscitato più volte pone ed esprime una domanda di spazi liberi e di pause nel traffico, ma impone di capire, di usare metodo e scienza ovvero, per essere chiari , di usare arte nel costruire la città.

Ve lo dico in maniera banale perché mi pare che non funzioni: occorre sapere che qualsiasi studentello di architettura e urbanistica quando disegna e ridisegna la planimetria di una città, e prima di elaborare un progetto esamina la forma della città esistente, analizza i vuoti e i pieni, i flussi e soprattutto riassume con pochi tratti di penna colorata le gerarchie, misura gli invasi delle strade, e attraverso un processo razionale risponde alla domanda della committenza con la soluzione più attendibile.

Via dei Mille in che gerarchia sta con le altre strade? È più importante delle altre? ha una forma e una misura significativa? Si Trovano elementi di qualità formale, spaziale o monumentale? Bastano 20 vetrine più ricche e altri 20 associati in una legittima lobby a formulare un patto pubblico? Via dei Mille nel tratto che abbiamo conosciuto, passeggiato e transennato fino alla via Santa Cecilia, ha 9 segmenti di pedonalizzazione  corrispondenti ai 9 isolati per lato che costruiscono i 9 incroci con le  9 vie ortogonali .

9 sono gli incroci di una scacchiera geometrica uguale nelle vie a  monte come in quelle  a valle, la regola della scacchiera è quella e per quanto la vuoi interpretare quella resta . Può quindi una via gerarchicamente inferiore o paritaria alle altre, generare di per sé il motore principale di un processo? Io sinceramente da quest’uso aritmetico del 9×9 genero solo una moltiplicazione  con  almeno 81 problemi che se avessi spazio esaminerai con voi.

Se” la prova del nove non riesce “perché comiciare da lì?

Tutte le città che ho visitato o studiato in Italia e all’estero hanno cominciato le pedonalizzazioni proprio dai tratti più importanti, da quelli monumentali, da quelli di gerarchia superiore, da quelli belli per forma o significato, o persino con delle ragioni ingegneresche per dei motivi di massima funzionalità;  le gerarchie possono essere di vario tipo ma rivelano spesso un metodo, un processo e un ordine formale e mentale. Ecco ancora oggi non ho avuto mille, ma a dire il vero neanche una riposta razionale da ingegneri, architetti, urbanisti o trasportisti, le sole rsiposte chiare erano quelle che alla cittadinanza piaceva strusciarsi e mostare bambini e cagnolini. Piuttosto che risposte che postevano superare la famosa prova del 9, un’onda irrazionale con venature da ideologia da spedizione dei Mille  ha riempito il campo spazzando via qualsiasi  duraturo risultato . Quindi perché non cominciare dal Viale con i suoi terminali di spazi e piazze? O ancora perché non allargare alle zone di prossimità delle isole inserite nel P.U.T o perché non studiare a fondo la natura sociale, antropologica e commerciale e confrontarla con quella formale e policentrica della città di Messina?

In questi anni in Italia e nel mondo abbiamo assistito alla modificazione e all’ambigua e incerta apparenza dello spazio pubblico e della strada. Quello che prima definivamo con chiarezza ordine e gerarchia come spazio pubblico, fatto d’identità, bellezza, economia e funzione, oggi spesso sfugge, è come se la contrattazione di significato si facesse giorno per giorno, si rinnovasse secondo spinte emotive o oscure o banalmente improprie; qualcuno dice che la città viene fatta dalle persone e dalle dinamiche che si inventano tralasciando o scartando per sempre qualsiasi processo razionale e poetico per il disegno e l’uso della città.

Il conflitto nella città è da sempre esistito, ma assume dentro le modalità di uso dello spazio pubblico la possibilità di un patto e di un accordo. Lo spazio pubblico o le parti riconosciute come luoghi comuni sono da riacchiappare come necessari strumenti navigatori dentro la mappa delle comunità variabili che abitano la città. Non so se ancora la strada esprime un possibile patto ma di sicuro esprime un desiderio e un’ipotesi attraverso  cui le citta devono costruire un progetto, perché una città sta dentro un’intelligenza spaziale che lavora incessantemente finché c’è vita.

5 Visionari sullo Stretto

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Gli Architetti e gli Urbanisti Visionari non appartengono al “mondo dell’utile” ma per paradosso a quello del necessario. A ogni buona idea visionaria o sincera utopia corrisponde l’apertura di un varco e spesso un avanzamento nei progetti della quotidianità. I visionari “vedono” spesso un po’ prima degli altri.

1) Filippo Juvarra e il progetto di continuazione della palazzata

Il messinese Juvarra 1678 – 1736

Nel 1714, per la città di Messina, Juvarra schizzerà̀ una veduta del porto cittadino comprensiva del ridisegno del Palazzo Reale, immaginando di prolungare la Palazzata di cinque Kilometri per un totale complessivo di sei Kilometri (oltre metà dell’intera lunghezza della costa settentrionale) fino alla chiesa di Grotte nel villaggio Pace.

Con un solo segno portato alla scala del paesaggio, F. Juvarra sintetizzava la narrazione e la varietà̀ funzionale e sociale che conteneva al suo interno la Palazzata – che come dimora nobile, come centro direzionale, come centro mercantile – restava un unicum nel panorama italiano. Con questo disegno di un sistema edificato continuo l’architetto visionario ripeteva e amplificava la forza auto rappresentativa della città con un  macro edificio immaginato alla scala del paesaggio.

Aspetteremo poi Le Corbusier per teorizzare e sperimentare l’edifico e la grande dimensione nel paesaggio del Plan Obus per Algeri o la modernità per l’edificio territorio dell’Università della Calabria a Cosenza di Vittorio Gregotti.

2) Giuseppe Samonà 1898-1983, è l’architetto che ha progettato e costruito una parte consistente dell’immagine attuale del porto di Messina  e della nuova palazzata. Nel 1960 nel concorso del Prg, il gruppo di progettazione guidato da Samonà con il piano per la Città Biporto, elaborerà una proposta che è sintesi di architettura e urbanistica in cui l’immagine della città fondata sul doppio porto, individuato in quello storico e in quello a nord, produrrà poi una saldatura con l’infrastruttura metropolitana del ponte del concorso del 1969. Sarà una città fatta di bloque a redents, larghe architetture su pilastri su un suolo terrazzato pensato come un giardino continuo. Con un forte debito figurativo alle architetture urbane di Le Corbusier, Samonà elabora dei disegni con una nuova immagine della città con una forte polarizzazione a nord, duplicando non solo il porto ma la stessa città. Di questo progetto segnato dall’azzeramento dell’esistente resta oggi la visione estrema e anche il suo azzardo utopico.

 

3) Maurizio sacripanti e il Piano per la Città Ponte

Maurizio Sacripanti architetto 1916 -1996, con le sue consistenti proposte disegnate si era rivolto con intensità verso le forme di neo avanguardia sperimentale, in cui molteplicità, mobilità spaziale e combinabilità strutturavano le potenti immagini progettuali, la modernità avanzata dei suoi progetti conteneva insieme visionarietà e controllo disciplinare. Il progetto per una Città Ponte sullo Stretto di Messina del 1965 è un progetto architettonico e urbanistico insieme, Sacripanti immagina un ponte che non si limita a collegare due territori ma diventa esso stesso nuovo e terzo territorio tra le due Regioni di costa, terza entità in cui la motricità spazio temporale è condensata nel passaggio ma anche nei moduli spaziali abitabili che si aggrappano a strutture tridimensionali, alle maglie passanti sul mare e alle immaginifiche strutture spaziali.

4) Francesco Venezia e l’isolato urbano, progetto sulla fiumara Zaera.

Francesco Venezia architetto 1944 è uno di quelli che in Italia e in Sicilia hanno costruito anche piccole e controllatissime architetture, muri perfetti e spazi introversi. A Messina ci arriva chiamato a consultazione per il Simposio sull’isolato nel 1985. Tanti gruppi di architetti italiani e stranieri chiamati a interrogarsi sulla forma della citta di Messina attraverso proposte che influenzeranno il dibattito locale e nazionale .

F.Venezia elabora un progetto radicale in cui alla ripetizione geometrica della maglia degli isolati del Piano Borzì, impone un’interruzione forte svelando attraverso la costruzione di un argine l’elemento  originario e di forma  di una delle fiumara e della sua corsa da monte a mare. Venezia Immagina un elemento parallelepipedo unico che ingloba l’alveo dello Zaera che poi si termina a mare. Le azioni sono di “spingere” a mare l’architettura dall’interno della città e costruire un vuoto intermedio, “costruire” la testata a mare che poi diventa palazzo a mare con un  elemento dimensionale importante, ma anche piazza gradonata coperta che vede il mare e la navigazione e il teatro in sommità. Palazzo a mare, piazza a mare, fiumara e giardino cavo, sono elementi dimensionali estremi e radicali, ma insieme elementi comprensibili che affiorano dal repertorio antico quasi classico delle città mediterranee.

 

5) Franco Pierluisi e il progetto per Capo Peloro – Finis Terrae –

Franco Pierluisi architetto 1936-1992 fece parte del Grau (Gruppo Romano Architetti e Urbanisti). La sua relazione forte con la storia, la sapienza disciplinare dell’archiettura e la riscrittura dei codici di relazione tra architettura e paesaggio approdano sullo Stretto di Messina attraverso la sua attività accademica e di ricerca presso la scuola di architettura di Reggio Calabria. Nel 1989-1990 la sua visionarietà spaziale vasta e la sua analiticità descrittiva si esprimeranno nel progetto Finis Terrae per Capo Peloro a Messina.

In questo progetto Franco Pierluisi rielabora l’immagine casuale dell’esistente definendo un’architettura del Capo e opponendosi allo sfrangiamento dell’abitato contemporaneo. Il progetto è costruito intorno ad alcune tracce di scavi e rilevati, alle scorie delle infrastrutture tecniche e a quelle originarie dei simboli che assumono nuova forza attraverso le relazioni tra segno e luogo. Il sistema edificato immaginato come un’architettura urbana è un servizio spaziale per i cittadini, un elemento orizzontale che contiene attività e servizi e un elemento verticale con più piattaforme–belvedere incastrate nel pilone Enel servite da un ascensore veloce che scorre all’interno di un’antenna strallata in acciaio ancorata al pilone e a terra.

E’ un progetto che ridefinisce l’immagine del paesaggio e che definisce il margine della punta della Sicilia orientale e lo fa con una dichiarazione progettuale visionaria ed esplicita, anticipando molti dei temi, dei concorsi e proposte che interesseranno il dibattito successivo su quell’area di Messina.