Abito, la spiaggia

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La spiaggia come spazio pubblico urbano è un grande contenitore delle storie di ogni giorno. Un’esposizione condensata di fatti e misfatti, di tempi e di abbandoni. Un‘esposizione mercantile di corpi, abiti, profumi , ma anche di intimità e di rifiuti.

Ho trovato una barca in secca sulla spiaggia ed era sicuramente la più bella vetrina dell’estate, tra il Lanternino e il Pilone, poco più su dell’ombra arrostita e cannizza della Pinnazza. Uno scafo largo quanto i fianchi del Mediterraneo e con l’altezza compressa quanto quella di una casa opprimente di pescatori.

La vetrina è un’onda di mare, un flesso costante di sinusoide, un combinato di cromie accidentali. L’occasione fa l’uomo genio da queste parti e fra questi  il mercante di passaggio, che trasforma l’esposizione visuale in una plastico drappeggio di dei senza corpi.

Resta il vento che sposta i drappi, restiamo noi che abitiamo la spiaggia e uniamo i continenti; noi che raggranelliamo le sabbie e i cocci e li spostiamo  senza motivo di qua e di là.

Come i famosi bagni misteriosi della metafisica in uno spazio esteso e infinito si è come prodotto un grumo, un congelamento astratto di corpi , di viaggi, di abiti. Gli dei svolazzano al vento e lasciano i corpi da un’altra parte; lo ripeto quel mercante è un genio.

 

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